Francesco Sirufo
Amministratore diocesano di Tursi-Lagonegro (2015-2016)
Arcivescovo di Acerenza (2016- )
Via veritas et vita
Blasonatuta/descrizione
Partito, d’azzurro: nel 1° al chrismon in forma di croce latina, accostato dalla lettera maiuscola M a destra e due chiavi addossate e decussate a sinistra, il tutto d’oro; nel 2° al monte all’italiana di tre cime d’argento, nodrente un roveto ardente al naturale, e fondato sulla campagna di tanè caricata di una fascia ondata d’argento
Riferimenti biografici
scheda di www.catholic-hierarchy.org
pagina di it.wikipedia.org
Riferimenti araldici
pagina di www.diocesitursi.it
Fonti immagini
pagina di www.tursitani.it
Lo stemma e il motto sono così presentati da Don Antonio Pompili, socio ordinario dell’Istituto Araldico Genealogico Italiano, nella pagina di www.diocesitursi.it
Lo stemma di Mons. Sirufo, vuole essere una sintesi grafica che faccia riferimento alle sue origini e, sia pure velatamente, al suo nome, oltre che ai suoi valori spirituali e alla sua missione.
Nel 1° quarto troviamo una composizione, ispirata a un graffito di una catacomba romana: al centro il chrismon (XP), monogramma di Cristo che richiama in modo immediato il mistero della redenzione operato nel sacrificio glorioso della croce; da un lato la lettera M, che anche nell’araldica ecclesiastica, a partire dal noto stemma di San Giovanni Paolo II, si è imposta come riferimento privilegiato alla Beata Vergine Maria, Madre di Cristo e della Chiesa; dall’altro lato le chiavi petrine, chiaramente allusive a San Pietro e al ministero petrino, sul quale come fondamento sicuro il Signore ha voluto edificare la sua Chiesa. Nel 2° quarto troviamo la campagna (così si chiama nel linguaggio blasonico la pezza araldica che occupa la terza parte inferiore dello scudo) di tanè, colore che non è tra quelli convenzionali per l’araldica (che ne conosce solo 5: rosso, azzurro, verde, porpora, nero), caricata di una fascia ondata d’argento. Sta a rappresentare la terra con un rivolo, in riferimento alla Terra promessa, alla terra della Basilicata. Il pensiero va al fiume Giordano, ai fiumi della Basilicata, ma anche, ad un livello teologico-spirituale, al Battesimo, alla vita, alla grazia.
Il monte di tre cime ancora una volta fa riferimento alla storia della salvezza: al monte Sinai, il monte della rivelazione divina a Mosè e dell’incontro di Elia con il Signore, al Calvario, ma anche i monti della Basilicata, e il monte di Acerenza. Il roveto ardente, a ricordo della rivelazione del nome divino (tetragramma sacro: IHWH) a Mosè, inviato per liberare il popolo di Dio, richiama anche Cristo crocifisso, il mistero eucaristico, la maternità verginale di Maria, il fuoco dello Spirito, cioè l’amore di Dio riversato nei cuori dei credenti in Cristo. Ma la figura vegetale ardente dà allo stemma anche il valore di un’arma ‘parlante’, visto che il triconsonante ebraico SRF ‘ardere’, (da cui ‘ardente’, e anche ‘serafino’) ha assonanza con Sirufo.
Infine notiamo che il colore del campo è d’azzurro: si riferisce al cielo, dunque a Dio e alla Vergine.
Nel 1° quarto troviamo una composizione, ispirata a un graffito di una catacomba romana: al centro il chrismon (XP), monogramma di Cristo che richiama in modo immediato il mistero della redenzione operato nel sacrificio glorioso della croce; da un lato la lettera M, che anche nell’araldica ecclesiastica, a partire dal noto stemma di San Giovanni Paolo II, si è imposta come riferimento privilegiato alla Beata Vergine Maria, Madre di Cristo e della Chiesa; dall’altro lato le chiavi petrine, chiaramente allusive a San Pietro e al ministero petrino, sul quale come fondamento sicuro il Signore ha voluto edificare la sua Chiesa. Nel 2° quarto troviamo la campagna (così si chiama nel linguaggio blasonico la pezza araldica che occupa la terza parte inferiore dello scudo) di tanè, colore che non è tra quelli convenzionali per l’araldica (che ne conosce solo 5: rosso, azzurro, verde, porpora, nero), caricata di una fascia ondata d’argento. Sta a rappresentare la terra con un rivolo, in riferimento alla Terra promessa, alla terra della Basilicata. Il pensiero va al fiume Giordano, ai fiumi della Basilicata, ma anche, ad un livello teologico-spirituale, al Battesimo, alla vita, alla grazia.
Il monte di tre cime ancora una volta fa riferimento alla storia della salvezza: al monte Sinai, il monte della rivelazione divina a Mosè e dell’incontro di Elia con il Signore, al Calvario, ma anche i monti della Basilicata, e il monte di Acerenza. Il roveto ardente, a ricordo della rivelazione del nome divino (tetragramma sacro: IHWH) a Mosè, inviato per liberare il popolo di Dio, richiama anche Cristo crocifisso, il mistero eucaristico, la maternità verginale di Maria, il fuoco dello Spirito, cioè l’amore di Dio riversato nei cuori dei credenti in Cristo. Ma la figura vegetale ardente dà allo stemma anche il valore di un’arma ‘parlante’, visto che il triconsonante ebraico SRF ‘ardere’, (da cui ‘ardente’, e anche ‘serafino’) ha assonanza con Sirufo.
Infine notiamo che il colore del campo è d’azzurro: si riferisce al cielo, dunque a Dio e alla Vergine.
Il motto riprende una delle più famose autorivelazioni di Gesù nel Quarto Vangelo: “Ego sum Via, Veritas et Vita” (Gv 14,6). In questa solenne affermazione, nella quale Cristo sintetizza il mistero della sua divinità e la sua missione nel mondo, ritroviamo oltre all’espressione tipica della rivelazione di Dio nell’AT (l’ “IO SONO” del Sinai), la composizione VIA VERITAS ET VITA, quasi a voler mettere insieme essenza ed esistenza, dottrina e prassi, verità e misericordia.
Nessun commento:
Posta un commento